(Re)fractions
Fondazione Spazio Vitale
Via San Vitale 5 – Verona
Opening: venerdì 28 novembre 2025 – ore 18:00
Dal 28 novembre al 5 dicembre 2025 – dal mercoledì al sabato dalle 15:00 alle 19:00
A cura di Giulia Moscheni e Anastasia Pestinova
Nella frattura, la porosità
(Re)fractions è lo spazio in cui l’umano smette di essere misura, e si espone a ciò verso cui più tenta di resistere: istinto, pulsioni, vulnerabilità, desideri non addomesticati – naturalmente. L’animalità è presente in noi come tensione costante: un movimento che lega tra loro le forme del vivente, mostrando un’alterità che incrina l’idea di un’identità originaria o pura. Un’alterità che talvolta si manifesta come bestialità: non l’animale come figura esterna, ma ciò che nell’umano eccede il controllo, ciò che la cultura tenta di disciplinare e che continua invece a premere, opaco, irriducibile. Ciò che si dà è solo una vita che prende forma scomponendosi e rifrangendosi, continuamente. Ciò che abita il margine – messo a tacere, soffocato nel tentativo di contenerne l’esondazione – ritorna, prende forma, chiede di essere guardato. Quando questa frattura si manifesta nelle pratiche artistiche esposte in mostra, prende la forma di corpi che slittano, si deformano, si contaminano: le sculture, le installazioni e le immagini diventano membrane porose, luoghi di scambio in cui il limite tra organico e artificiale, umano e animale, naturale e costruito si assottiglia fino a dissolversi, decretando la fine di un’illusione. Questo discrimine apre a una forma di sacralità: non un ordine superiore, ma una frattura che risiede nella capacità di riconoscere e confrontarsi con una parte oscura che rifiuta la purezza e afferma invece la continuità, l’adattamento, la trasformazione.
Dal testo critico di Giulia Moscheni
Dissezione – la chirurgia dello sguardo
La scelta della parola (re)fractions è dovuta alla sua doppia natura: indica le fratture o frazioni, pezzi divisi o scomposti tra di loro, e allo stesso tempo la possibilità di un ricollegamento tra essi. La scomposizione e la lacerazione puntano verso l’impossibilità di avere un’immagine, una rappresentazione completa dell’insieme. Questo aspetto è doloroso e potrebbe sembrare persino traumatico. Ma la sua intensità è quella della dissezione, ossia dell’operazione di chiarimento e di confronto con il reale. Come mostrano i lavori, la rappresentazione unica non esiste: maschera livelli stratificati che si nascondono come gli anamorfismi, invisibili finché non si cambia l’angolo di osservazione. Nelle opere di Sonia vediamo quell’elemento di violenza nascosta nello sguardo unificante con la sua gerarchia verticale. Operando nelle soglie e nelle ombre, nella mancanza di trasparenza, l’ottica tradisce i propri principi, creando immagini ambigue e diventando uno specchio deformante. Invece i lavori di Anna ci introducono corpi ibridi, né antropomorfi né artificiali né animaleschi: sono manifestazioni della materia nel suo divenire divorante. Realizzati in sapone, fluido e mutabile, che rappresenta il dentro delle cose, i visceri con tracce dell’umano, sono spesso incastonati in strutture rigide, metalliche o di cemento, collegati con tubi – elementi di fissaggio e costrizione. Come una trappola per talpe: ciò che trattiene, ma in modo brutale. Materia riappare nei lavori di Sara, ma questa volta sotto forma di contaminazione. Le malattie e i virus non sono soltanto metafore biologiche: diventano dispositivi per mostrare la vulnerabilità strutturale. Il cancro, la melanoma sono una materia che cresce dove non dovrebbe, che invade, minacciando la stabilità e i confini dell’identità, mettendo in crisi la possibilità stessa di una rappresentazione “pulita”.
Dal testo critico di Anastasia Pestinova